Il cane perfetto

Il valore della maleducazione

Il mio primo cane, Cookie (meticcio segugio x terrier) è molto comunicativa (direi che ci tiene molto a far sapere ogni sua necessità e ogni suo stato d’animo!), la seconda arrivata, la Beauceron, lo era molto meno.
Ho fatto tantissima fatica a chiederle di aiutarmi a farsi capire.
Nei primi mesi sembrava una cucciola che si trovava per caso (e suo malgrado) a casa di sconosciuti. Pareva che dicesse a sé stessa che doveva solo sopportare un po’, che la situazione era sicuramente temporanea e che presto qualcuno l’avrebbe certamente e sensatamente riportata a casa sua, da sua madre e dai suoi fratelli. Sembrava accettare la condizione solo per dovere, senza maleducazione: lo faceva con una dignità così composta che era quasi commovente da vedere in un cucciolo.
Il tempo e le settimane passavano, fuori casa aveva un innegabile disagio ambientale, temeva fortemente i cani e reagiva in modo non lucido e aggressivo, ma in casa…nessuna maleducazione: era carina e mansueta, aveva imparato subito a fare pipì in giardino, non montava sul divano, non chiedeva cibo a tavola, dormiva nella sua cuccia, non saltava addosso alle persone, tornava sempre al richiamo. Sotto quel punto di vista, a me sembrava una cucciola praticamente perfetta!
Non mancavano però le mie aspettative; per scaramanzia, prima di adottare la cucciola, non mi sono concessa di comprarle niente: non una ciotola, non una cuccia, non un collare, non una medaglietta…ho ceduto però alla tentazione di comprare solo un oggetto: una palla.
Ancora non me ne ero resa conto, ma quella palla era il simbolo delle mie grandi aspettative.
Quando ho deciso di prendere un Beauceron, un cane da difesa e conduzione del gregge (sebbene, va detto, la cagna provenga da una selezione da esposizione) immaginavo i miei futuri anni insieme a lei con una pallina e una treccia in mano, intenta in appaganti e infiniti giochi col mio cane.
E invece, inaspettatamente, niente di tutto questo.
Il cane non aveva praticamente nessuna motivazione sul gioco, soprattutto fuori dalle mura sicure di casa nostra.
E io, ovviamente delusa, non mi rassegnavo a smettere di lavorare per ottenerla.
Potevo nascondermi dietro le vocine più eccitanti e motivanti, potevo rinforzare i comportamenti di gioco quanto volevo, potevo usare tutte le tecniche di aumento della motivazione sul gioco e sulla predazione, potevo anche fingere che non mi importasse poi così tanto… ma il cane sapeva.
Il cane sentiva.
E nonostante facessi di tutto in mio potere per metterla a suo agio, fino a 6 mesi abbondanti posso dire di non aver avuto una vera relazione con quel cane.
Non riuscivo a conoscerla veramente, e mi colpiva il fatto che non sarei riuscita a descriverla caratterialmente a qualcuno che me lo avesse chiesto. Era come…una cucciola chiusa dentro se stessa. E io la vedevo come da dietro un vetro opaco. Un immagine solo abbozzata e poco definita, sfuggente.
A cinque mesi e mezzo, un giorno che ricordo come se fosse ieri, decidendo di disobbedire a qualsiasi classica buona regola di educazione cinofila, mi capitò di darle un boccone dalla tavola e lei, una volta finita la leccornia, mi ha guardò con quei suoi occhietti scuri e finalmente espressivi e accesi, e col muso mi diede un colpetto deciso sul gomito.
Poi si è sedette li dov’era, guardandomi.
Rimasi interdetta e stupita. Me ne stava chiedendo ancora?
Oh si, me ne stava chiedendo ancora!
Finalmente una comunicazione, un contatto, una richiesta, un dialogo, un vero atto di maleducazione!
Scoppiai in una risata e le dissi che era stata bravissima, incentivando la sua iniziativa e dandole ancora cibo e coccole, naturalmente!
Ricordo quel momento come fosse ieri.
Fu il momento in cui iniziò il vero rapporto tra me e il  mio cane.
È come se si fosse aperto un varco tra me e lei, varco allargato successivamente anche dalla presa di coscienza delle mie aspettative e dall’abbandono delle stesse. Avevamo iniziato a comunicare davvero, senza fini che non fossero la crescita di un vero e profondo rapporto.
Da quel giorno è iniziato il suo (nostro) cambiamento.
Musate, spintine, abbai, buffe e improbabili posture…lei comunica con me, e io le parlo e cerco di farla sentire, se non compresa, almeno ascoltata. Non è affatto “maleducata”; non elemosina né ruba da tavola, eppure io credo che finalmente sia felice di essere nella nostra famiglia!
Inutile aggiungere che ha anche iniziato a giocare con me in modo soddisfacente e appagante.
Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe andata tra me e lei se quel giorno, e per alcuni giorni a venire, non avessi rinforzato comportamenti di solito ritenuti sgraditi, atti di maleducazione (in quel caso, chiedere cibo da tavola) e che notoriamente in educazione cinofila e addestramento si dice vadano sempre scoraggiati o persino puniti.
Personalmente credo che il “sempre” e il “mai”, quando si parla di comportamento e di relazioni tra esseri viventi sociali ed evoluti come i cani, o come le persone, siano parole da usare con parsimonia. Forse bisognerebbe imparare ad usare dei vocaboli molto più “scomodi” come la parola “dipende”.
Dipende dal cane, dipende dal proprietario, dipende dal contesto, dipende dall’età, dall’individuo, dallo stato emotivo del cane, da quale è l’obiettivo che voglio raggiungere….dipende!

L’episodio di vita quotidiana di cui ho raccontato poco sopra, così semplice eppur così speciale, mi ha quindi dato la possibilità di riflettere su molti argomenti.
Primo tra tutti, quanto influiscono le nostre aspettative e le nostre paure nel comportamento del nostro cane (e anche in quello delle persone che ci circondano).
Secondariamente, come varia la predisposizione/motivazione verso la comunicazione intra e interspecifica di razza in razza e da individuo ad individuo, quanto influisce il fattore esperienziale e ambientale, e che conseguenze ha questa abilità in parte innata, in parte, come abbiamo visto, appresa, nella vita di un cane.

E perchè no, anche in quella delle persone.

Noemi Pattuelli